La Cassazione ha stabilito la revoca degli assegni per il coniuge che effettua «spese voluttuarie», cioè frivole, e che, invece di lavorare, si dedica ad attività di svago, come fare acquisti non necessari e, magari, trascorrere le giornate in palestra invece di cercare un’occupazione retribuita.
La Corte sottolinea infatti che l’assegno di divorzio ha «una funzione assistenziale e compensativa», shopping e qualche sfizio di troppo, in assenza di un impiego, rischiano di costare davvero caro a chi percepisce un assegno di mantenimento, richiede l’accertamento «dell’inadeguatezza dei mezzi, o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive».
L’importo viene calcolato sulla base della «valutazione del contributo fornito alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi.
L’obiettivo è consentire «il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tendendo conto delle aspettative professionali sacrificate», si legge ancora nella sentenza.
L’assegno non è dovuto, invece, se il coniuge si rifiuta di lavorare pur avendone la possibilità e se ha redditi adeguati a mantenersi e ad affrontare le spese che derivano dalla nuova condizione di vita.
La decisione dei supremi giudici riguardava una coppia di Velletri, in provincia di Roma. L’ex marito doveva versare un assegno divorzile da 100 euro alla moglie, che si aggiungevano ad altri 450 euro al mese come contributo al mantenimento del figlio, maggiorenne, ma non ancora autonomo
Corte d’appello di Roma ha revocato la decisione, con una sentenza che è stata confermata dalla Cassazione.
Il figlio, diplomato in un istituto tecnico industriale, aveva infatti deciso di lasciare l’impiego nell’officina di proprietà del padre per andare a lavorare con il nuovo compagno della madre nel campo dell’edilizia. Per quanto riguarda la revoca del mantenimento alla ex moglie, invece, gli Ermellini hanno sottolineato che la donna «disponeva di redditi provati dalle risultanze dei conti correnti e dalle spese, anche voluttuarie, sostenute, nonché dalla capacità lavorativa dimostrata dal fatto che aveva letteralmente trasformato il proprio fisico dedicandosi a un’intensa e costante attività di body building».
I giudici hanno condannato la ricorrente a pagare anche le spese processuali sottolineando nella sentenza che nel calcolo dell’assegno di mantenimento è necessario verificare se il divorzio abbia prodotto «uno squilibrio effettivo e non di modesta entità» tra i due componenti della coppia.
Inoltre da verificarsi che l’eventuale differenza di reddito sia riconducibile «alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti della coppia, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali».
Per ulteriori approfondimenti: Studio Legale Civile & Penale Avv. Paolo Saracco