Cappella Palatina

Una delle priorità del sovrano nella realizzazione della Reggia era quella di creare una sontuosa cappella destinata alla celebrazione dei Sacri Riti della famiglia reale. Delle caratteristiche che avrebbe dovuto avere questo luogo si era già parlato nel marzo del 1752 e poi di nuovo a settembre, quando Carlo di Borbone e la moglie Maria Amalia di Sassonia comunicarono a Vanvitelli in un incontro privato le loro preferenze sulle colonne e sui marmi da utilizzare nella Cappella Palatina, che nelle intenzioni del Re doveva assomigliare a quella di Versailles.

A svelare questi particolari è lo stesso architetto, che confidava in una lettera al fratello Urbano anche l’esistenza di alcune idee personali “ardite” a proposito della Cappella stessa.

“La Cappella mia di Caserta – scriveva nel 1752 Vanvitelli – certamente sarà il miglior pezzo e quella di Versaglies è così cattiva, sproporzionata in tutto, quantunque piena di bronzi dorati, che assolutamente è una pessima cosa”. Vanvitelli riuscì quindi, come dimostrano queste parole, a far coincidere le sue idee artistiche con le esigenze del Re, assecondando, non senza un po’ di furbizia, le richieste di Carlo, che non sempre venivano esaudite alla lettera.

“Ho ridotto il tutto in buona simmetria di architettura” scriverà in un secondo momento Vanvitelli sulle principali varianti da lui introdotte rispetto alle volontà del sovrano: si riferiva in particolare all’interruzione all’abside del colonnato, allo sviluppo orizzontale e alla divisione equilibrata degli spazi.