Caserta-Milano solo andata. Quando una casertana non emigra, ma si trasferisce: l’incontro con la scuola

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Una terrona e la scuola milanese

Siamo alla seconda puntata della nostra rubrica “Caserta-Milano solo andata”, nella quale vogliamo condividere con voi lettori le avventure semi-comiche di Monica Merola, insegnate casertana trasferita per amore – e non emigrata – al nord, nello specifico proprio a Milano, capoluogo e cuore della Lombardia.

La scorsa volta ve l’abbiamo presentata e lei ci ha fatto un’allegra panoramica dei suoi primi approcci milanesi. Vi è piaciuta, e tocca saperne di più. Ed ecco qui il seguito del suo soggiorno meneghino, gioie e dolori:

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Avevo iniziato raccontandovi che a Luglio 2017 mi sono trasferita definitivamente a Milano, di conseguenza il primo Settembre di quell’anno fu il fatidico giorno del primo collegio docenti in terra straniera.

Ho avuto la fortuna sfacciata di essere trasferita nella scuola esattamente di fronte casa quindi quella mattina, animata da tutte le migliori intenzioni, attraverso la strada felice, emozionata ed entusiasta di partecipare alla riunione.

L’entusiasmo è durato il tempo di attraversare la strada di cui sopra e varcare la porta dell’edificio. Avete presente Cappuccetto Rosso nel bosco? Uguale.

Non conoscendo affatto la sede, seguo il flusso delle persone e mi ritrovo nel seminterrato deputato alla mensa, arredato quindi con tavoli e sgabelli, affollatissimo di colleghi dei due plessi di scuola primaria e del plesso di scuola media.

Le persone parlottavano tra di loro in attesa dell’arrivo del Dirigente, ma io ero praticamente invisibile. Nessuno mi rivolgeva parola che andasse oltre una distratta risposta al mio “buongiorno”.

L’entusiasmo che era già svanito sulla porta si trasformò in un magone pazzesco perché mi mancavano la mia scuola e le mie colleghe e sinceramente mi venne un nodo alla gola ed una gran voglia di piangere oltre che darmi gli schiaffi in faccia per aver preso la decisione di emigrare.

Chiaramente non sapevo neppure quale classe avrei avuto, notizia che viene comunicata proprio durante il primo collegio docenti ergo il mio timore era di finire con qualche vecchia carampana (come se poi io fossi un bocciolo di rosa) brutta, antipatica e pure milanese, il che per il perfetto terrone significa razzista.

Sicuramente mi avrebbe odiata perché terrona e messa a fare la Cenerentola della classe.

Mentre questi pensieri apocalittici si susseguivano nel mio povero cervellino triste viene fatto il mio nome, quello della classe che avrei avuto e della persona con cui avrei diviso la sorte.

Ci alzammo entrambi in piedi per cercarci tra la gente e come per magia un enorme senso di sollievo mi pervase poiché vidi colui che sarebbe diventato il mio collega di classe, nonché amico: giovane, carino ma soprattutto terrone pugliese!

Rapidamente quindi conobbi gli altri colleghi dell’interclasse, persone splendide con le quali oltre ad un rapporto lavorativo sinergico ho instaurato quello più importante di sincera amicizia, così come con i colleghi che successivamente ho avuto ed ho attualmente.

E siamo al 90% tutti terroni. Comunque le novità non erano mica finite, perché poi è iniziata la scuola per i bambini. Nuovi loro per me, nuova io per loro.

Ho dovuto anche imparare diversi termini del lessico scolastico quotidiano… Se chiedi di usare i pastelli a spirito ti guardano strano, si chiamano pennarelli. Il cassino della lavagna si chiama cancellino, il portapastelli si chiama astuccio.

Se dici che dai l’assegno per casa, credono che tu voglia fargli un versamento bancario, si chiamano compiti e basta. Ma la cosa più divertente la imparai una mattina che, non ricordo per quale motivo, ebbi bisogno, dalla portineria, di chiamare in segreteria.

Dopo aver parlato con l’addetta, questa mi chiede di passarle il commesso…Terrore! Chi? Il commesso? E dove lo trovo un commesso io? E che stiamo da Benetton?

Grazie alla mia prontezza di spirito e soprattutto grazie alla voglia di non fare figure sul marroncino scuro, mi rivolgo ai bidelli dicendo che cercavano un commesso. E un bidello viene al telefono. Ahhhh… ecco! I bidelli si chiamano commessi!

Evitata quindi la figura quotidiana della terrona, salgo in classe dai miei dolci cavalli di quinta elementare, prevalentemente stranieri.

Ma di come affrontare il mestiere di maestra qui a Milangeles ve lo racconterò un’altra volta”.

Monica Merola