In compagnia di una Poesia, “La Conchiglia” di Margherita Guidacci

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Spesso, quando passeggiamo sulla spiaggia, ci fermiamo a raccogliere sassolini colorati e gusci di molluschi variopinti, con cui poter fare collanine o braccialetti; possiamo anche scorgere tra la sabbia qualche conchiglia: quando la accosti all’orecchio, senti proprio le onde del mare in lontananza…un’esperienza sensoriale davvero suggestiva.

Quelle rare volte che mi è capitato di provare questa sensazione, mi sono venuti in mente i viaggi di Ulisse nel periglioso mare, le voci suadenti delle Sirene, i terribili mostri Scilla e Cariddi con i loro mortali gorghi, le divertenti Oceanine e tanti altri personaggi della mitologia greca.

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Proprio da queste mitiche reminiscenze, la poetessa Margherita Guidacci si è fatta condurre per scrivere Conchiglie…scopriamole insieme.

Margherita Guidacci e l’esperienza del dolore

Margherita Guidacci, classe ’21, è stata docente universitaria di Letteratura Inglese prima a Macerata ed in seguito a Roma. Fu esperta di traduzione, traducendo moltissimi classici della letteratura anglo-americana.

Ai primordi della sua carriera letteraria seguì l’Ermetismo, corrente presente nella silloge La sabbia e l’angelo, premiata a Firenze. A causa dei traumi legati ai decessi di molti suoi cari ed alla sua malattia neurologica, esperienza amara che descrisse in Neurosuite del 1970, incentrò la sua poetica sulla morte, vista sul duplice piano di tragedia e liberazione dai mali, tanto da valerle il Premio Dessi per la poesia. Fu una scrittrice prolifica e pluripremiata.

La conchiglia, metafora dell’umano vivere

Il testo presentato intitolato Conchiglie appartiene alla silloge Paglia e Polvere del 1961. Ecco i versi:

Conchiglie

Non a te appartengo sebbene nel cavo

della tua mano ora riposi, viandante;

né alla sabbia da cui mi raccogliesti

e dove giacqui lungamente, prima

che al tuo sguardo si offrisse la mia forma mirabile. (v. 5)

Io compagna d’agili pesci e d’alghe

ebbi la vita dal grembo delle libere onde.

E non odio né oblio ma l’amara tempesta me ne divise.

Perciò si duole in me l’antica patria e rimormora

assiduamente e ne sospira la mia anima marina, (v. 10)

mentre tu reggi il mio segreto sulla tua palma

e stupito vi pieghi il tuo orecchio straniero.

La prima caratteristica stilistica della poesia è la personificazione della conchiglia; usando la prima persona, elemento rilevante nella poesia lirica greca del V secolo, essa si rivolge direttamente alla persona che la raccoglie.

Inoltre, è evidente la presenza dell’oggetto parlante, tecnica poetica in cui le cose inanimate prendono vita e si rivolgono a qualcuno, come ad esempio nei componimenti ellenistici (IV-I sec. a.C.), quando la lanterna si rivolge all’innamorato per parlargli dell’amata; da sottolineare il chiasmo al v. 9 e non odio né oblio ma l’amara tempesta me ne divise.

La poetessa lascia che la conchiglia ricordi la propria vita, quasi stesse raccontando un mito; viene messa in evidenza la forza della libertà personale del nicchio, essere libero che non appartiene a nessuno, né al viaggiatore né alla rena, dove a lungo giacque, nonostante fosse degno di essere ammirato, come lascia intendere la mia forma mirabile al v. 5.

Come un adulto si perde nei ricordi del passato, così la valva racconta la sua nascita dalle onde, richiamando quella di Venere, accompagnata dalla compagnia di pesci ed alghe; eppure l’idillio finì, perché dovette separarsi dalla sua materna onda a causa della tempesta e non per quegli umani sentimenti di dimenticanza ed odio, tipici dell’uomo.

Inoltre riecheggiando i versi del sonetto A Zacinto di Foscolo, la conchiglia ricorda con rimpianto l’antica patria, tra sospiri e malinconia. L’apostrofe al viandante, quindi, lega indissolubilmente l’oggetto alla persona, diventando un discorso metaforico ed enfatico sui cambiamenti inaspettati della vita, cui anche noi esseri umani siamo soggetti.

La conchiglia cerca di narrare ad uno stupito estraneo la sua storia: una persona meravigliata perché non riesce a comprendere la storia narratagli oppure pensa di comprenderla a modo suo, errore tipicamente umano, in quanto non si arriva mai a capire l’altro, in questo caso la conchiglia, fino in fondo, lasciandolo alla sua solitudine.