Il centauro deve andare a lavoro. Dopo tante riparazioni continua a cadere dalla sella: la questione approda in Cassazione
Il concessionario moto deve risarcire il veicolo difettoso venduto. L’acquirente chiede la riparazione ma il venditore non riesce a riparare la moto in modo definitivo. Sulla vicenda pesa la necessità per il centauro di usare il veicolo per gli spostamenti quotidiani. Perciò, il consumatore ha diritto a chiedere e ottenere la risoluzione del contratto. Questa è la legge! La norma è l’articolo 130, comma settimo, d.lgs 206/05 (Codice del consumo).
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Con l’ordinanza del 26 agosto u.s. la Cassazione ha ritenuto – in virtù della predetta normativa – superato ogni “limite di ragionevolezza”, dati anche i notevoli disagi sopportati dall’acquirente, di rinviare al giudice di secondo grado la lite, stavolta con un dettaglio in più.
Fatto e Diritto: le opzioni per il consumatore
Improvvisamente si rompe il cambio e il centauro cade dalla motocicletta. Nulla da fare. I ripetuti tentativi di riparare definitivamente il problema tecnico falliscono. La vicenda, a questo punto, finisce sul tavolo dei giudici, fino in appello. La Corte d’Appello sbaglia: non basta condannare il venditore al pagamento di 18mila euro a titolo di rimborso e risarcimento. Inoltre, la sentenza di secondo grado comporta un’ulteriore censura laddove esclude la possibilità di risolvere il contratto tra acquirente/consumatore e venditore.
Per la Suprema Corte di Cassazione non basta che le riparazioni risultino comunque eseguite dal concessionario e quindi non “impossibili” (il Codice del consumo al punto a) dell’art. 130, comma 7, D.lgs 206/05 chiede espressamente che l’opera sia impossibile o eccessivamente onerosa). Così come non serve badare ai lunghi tempi d’attesa (come richiesto dal punto b) della sopracitata norma) per i successivi interventi manutentivi, nell’ipotesi che siano onerosi, e solo perché il cliente ogni volta ritira, senza contestazioni, il veicolo. Per gli Ermellini il punto è ben altro. Il motoveicolo non è conforme al contratto! E questa circostanza è la sola più rilevante.
Il Codice del consumo fornisce all’acquirente alcune opzioni. Dunque, esperendo il rimedio fornito dalla legge, è giusto che il consumatore opti per la scelta di risolvere il contratto, liberando se stesso dagli obblighi verso il venditore, riservandosi – come è giusto – la facoltà di domandare risarcimento per i danni patiti.
Il diritto del consumatore. Nocciolo della sentenza: “la Massima di Cassazione”
Bisogna ben conoscere i propri diritti, dunque viene da chiedersi quali siano. Ebbene, l’importante è sapere che “il consumatore può richiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto” ove ricorrano tre situazioni. La prima: “la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose”. E ancora, la seconda: “il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro un congruo termine” dalla richiesta, arrecando notevoli inconvenienti al consumatore (ricordiamo che il centauro doveva andare a lavoro…). Infine, la terza ipotesi: “la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore”.
Per il futuro dovranno ricordare di considerare la natura e lo scopo dell’acquisto di un bene per decidere sulla risoluzione di un contratto di compravendita. Dunque, il consumatore, dopo tutti i tentativi di riparazione infruttuosi, ha diritto alla risoluzione. Per di più, un rimedio di quelli prima elencati non esclude l’altro, così che tra loro – mancando subordinazione – vi sia alternanza.