La Sala del Trono della Reggia di Caserta: quello che (forse) non sapevate

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La Sala del Trono della Reggia di Caserta è in assoluto l’ambiente più rappresentativo del Palazzo Reale. Lunga circa 40 metri, ha avuto un decennale periodo di gestazione: sospeso il progetto settecentesco, i lavori di costruzione furono ripresi da Gioacchino Murat (1767-1815) nel 1811 e furono completati nel 1845, sotto Ferdinando II (1810-1859), in occasione del Congresso delle Scienze.

Molti sono gli architetti che hanno partecipato alla sua realizzazione, offrendo sempre spunti diversi: a Carlo Vanvitelli (1739-1821) , figlio di Luigi, subentrò Antonio De Simone, che continuò il progetto sempre su base neoclassica. Curiosità a proposito dell’architetto De Simone: dopo aver prestato servizio alla corte murattiana, lavorò alla ricostruzione degli stemmi borbonici in vista del ritorno di Ferdinando I (1751-1825).

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I progetti successivi saranno quello del 1827 di Pietro Bianchi (1787-1849) e quello finale di Gaetano Genovese (1795-1860)

Le pareti laterali sono decorate da ventotto lesene corinzie (finte colonne appena sporgenti dalla parete con tanto di base e capitello). Le pareti frontali, invece, sono impreziosite dai rilievi in stucco dorato rappresentanti la Fama e i Trofei, di Tito Angelini (1806-1878) e Tommaso Arnaud (1800-1860). Lo stesso Tito Angelini, inoltre, ha operato nella Sala d’Alessandro, dove ha realizzato tre bassorilievi: Alessandro consegna il suo testamento prima di morire,  Alessandro a Delfi costringe la Pizia a predirgli il futuro e Filippo il Macedone affida Alessandro giovinetto ad Aristotele.

L’architrave è abbellito da 46 clipei (ritratti inscritti in uno spazio rotondo) raffiguranti i sovrani del Regno, fatta eccezione per Murat e Giuseppe Bonaparte.

I fregi che decorano gli angoli della sala con simboli dell’imperio borbonico sono opera dello scultore Gennaro Aveta. Sulla volta, invece, campeggia lo splendido affresco rappresentante La deposizione della prima pietra (20 gennaio 1752), realizzato nel 1845 da Gennaro Maldarelli (1795-1858).

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Sala del Trono, Posa della prima pietra del Palazzo (1845), opera di Gennaro Maldarelli (Foto di Francesco Cimmino)

Il dipinto si configura come austero esempio di neoclassicismo: Re Carlo e la consorte Amalia di Sassonia sono rappresentati in olimpica compostezza, circondati da alcuni membri della corte. L’opera denota un certo rigorismo accademico, probabilmente dovuto all’impostazione professorale dell’autore, il quale fu maestro dei principii del disegno di figura della Scuola Elementare di disegno per gli Artieri al Reale Istituto di Belle Arti di Napoli; nel 1844 divenne professore onorario per la disciplina delle scuole con soldo. 

Vi è, infine, il trono: non sfarzoso, in legno dorato, quasi insignificante rispetto alla grandeur che domina il resto dell’ambiente. La sua attuale apparenza, tuttavia, non deve trarre in inganno: l’odierno rivestimento a metà fra l’azzurrino ed il verde acqua non è originale; il trono, infatti, era precedentemente rivestito di tappezzeria rossa ed abbellito dai gigli della casa Borbone. Il seggio reale, infine, si caratterizza per la sua particolare iconografia: mentre i braccioli si sviluppano nelle sembianze di leoni alati, la parte laterale mostra due sirene, chiaro rimando alla città di Napoli.

La sala del trono si presenta, allora, non solo a guisa di simulacro del potere reale, ma anche come grande espressione di sincretismo artistico, a metà fra la fermezza neoclassica e lo sfarzo tardo barocco.