Pioggia di polemiche sulla serie “Dahmer” di Netflix

Pioggia di polemiche sulla serie “Dahmer” di Netflix

Netflix conferma l’interesse per gli spietati casi di serial killer statunitensi mettendo in scena la storia di uno dei più noti assassini seriali degli Stati Uniti.

Era il 22 luglio del 1991, quando gli agenti Robert Rauth e Rolf Müller della stazione di polizia del comune di Milwaukee, nello stato del Wisconsin, fecero una tragica scoperta nell’abitazione di Jeffrey Lionel Dahmer negli Oxford Apartments: resti di cadaveri nel frigorifero, teschi, cuori umani, numerose parti corporee e fotografie di corpi senza vita.

Quella stessa sera, Dahmer fu immobilizzato dalla polizia e condotto in prigione, dove rimase fino al 30 gennaio dell’anno successivo, giorno in cui ebbe inizio il processo. Nonostante si fosse precedentemente dichiarato colpevole, Dahmer (soprannominato il “Cannibale di Milwaukee” o il “Mostro di Milwaukee”) fu condannato a ben 957 anni di prigione.

Tra il 1978 e il 1991, fu responsabile di diciassette omicidi, tutti di giovani uomini afroamericani o di origini latine, messicane e asiatiche. Non sconterà mai, però, i 15 ergastoli ricevuti, morendo per mano di un altro detenuto, Christopher Scarver, il 28 novembre del 1994.

Da allora, sono passati 28 anni, ma la storia di Jeffrey Dahmer non smette di far parlare di sé. Esperti e appassionati da tutto il mondo continuano ad interrogarsi sul funzionamento del cervello del cannibale, soprattutto dal momento che il padre proibì che si facesse qualsiasi tipo di esperimento sul cervello del figlio. Netflix, la nota piattaforma streaming, captato l’interesse del pubblico, il 21 settembre di quest’anno ha deciso di rilasciare la serie “Dahmer-Mostro: il Cannibale di Milwaukee”, che in 10 episodi riassume le tappe principali della vita di Dahmer, dall’adolescenza alla morte in prigione.

Poco dopo la sua uscita, la serie è diventata la seconda più vista sulla piattaforma, registrando una reazione del pubblico senza precedenti: i giovani utenti di Netflix prediligono le storie di terrore.

Ne è conseguita un’aspra polemica, sostenuta in particolare dai familiari delle vittime. Questi ultimi, mai informati dell’imminente messa in onda della serie, non hanno gradito la spettacolarizzazione massiva di un dolore fino ad ora privato, alla cui drammatizzazione non erano preparati né, probabilmente, consenzienti.

C’è da chiedersi se è lecito produrre contenuti televisivi che sembrano, più che divulgare fatti biografici con dovere di cronaca, strizzare l’occhio al gusto più morboso e subliminale, con buona pace della sensibilità di chi ha vissuto eventi drammatici nei quali, una buona filmografia, non dovrebbe che entrare in punta di piedi.